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12 Luglio 2016 ~ 0 Comments

Sempre sulla Brexit (due settimane più tardi)

A due settimane dallo shock prodotto in Europa dalla Brexit, l’immaginario collettivo è cambiato, a tutti i livelli. Prima i movimenti anti-europei e secessionisti erano visti con benevolenza, con simpatia, dalla Spagna di Podemos, alla Grecia di Tsipras, alla Scozia di Salmond. Oggi il vento spira in direzione opposta. Se Bruxelles non funziona, questo non significa che valga la pena di smontare il cantiere europeo, trovandoci tutti extra-comunitari, meno ricchi e meno sicuri. I danni sono superiori ai vantaggi. Dunque l’Europa ha un grande valore.

Tabella DEMOS / Osservatorio Il Gazzettino (12 luglio 2016)

Qualcuno si azzarda a proporre, per l’Italia, un parallelo tra il referendum di Cameron e quello di Renzi. Se Renzi perde e si dimette, anche l’Italia rischia di entrare in fibrillazione, minacciando ulteriormente la stabilità europea, con conseguenze pesanti sul portafoglio di tutti. Meglio procedere con cautela.

Insomma, la narrativa della Brexit, come una fiaba dei fratelli Grimm, ha fatto breccia nell’immaginario europeo, alimenta nuove interpretazioni del mondo e induce riflessioni pacate, di qua e di là della Manica.

Nessun paese è isolato, neppure l’Inghilterra. L’interazione non si ferma né con i reticolati, né con le banche centrali e i governi nazionalisti. Tirarsi fuori, isolarsi dal mondo, è impossibile e nessuno può controllare le reazioni a catena che si innescano con decisioni secessioniste. Tanto vale allora cambiare il cantiere europeo piuttosto che indebolirlo. Scegliere l’opzione “voice”. Con cautela e intelligenza.

A spaccar tutto ci si mette un momento. Per ricostruire ci vogliono generazioni. Le guerre non si combattono più sui campi di battaglia, ma sono inutili ancora oggi. Dichiarazioni di ostilità, come quella dei cittadini britannici (o dei greci di un anno fa), suscitano solo reazioni irritate in tutti gli altri. E hanno conseguenze pesanti, che durano nel tempo. Serve dunque uno schema diverso e una classe dirigente capace di riportare i popoli del Vecchio Continente sulla strada dell’Unione, oltre gli stati nazione e i programmi quinquennali in declino.

Deve cambiare il progetto associativo? Ovvio! Il modello di governance dell’Europa, che abbiamo visto finora, non soddisfa la domanda di partecipazione dei cittadini. In esso i giovani Erasmus non hanno voce (voice), mentre trovano spazi di manovra inconsulta i reduci del ‘900, che non vogliono cambiare banca, moneta e direzione di marcia.

Un’Europa squilibrata, nella quale le élite di Lussemburgo e Slovacchia negoziano alla pari con Gran Bretagna e Germania, continua a essere un rischio, anche nel dopo Brexit. Serve un nuovo progetto federalista, dal basso, che parta dalle città metropolitane, da Parigi-Londra, dalle tante Scozie desiderose di autonomia e integrazione, che inizi a interpretare la domanda di cambiamento che avanza e attribuire nuovo valore e significato all’Europa.

 

Pubblicato su Il Gazzettino del 12 luglio 2016 (© Il Gazzettino)

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