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03 Maggio 2016 ~ 0 Comments

Le ragioni del crollo

E’ inutile cercare un colpevole per il terremoto che ha colpito la nostra comunità. Il fallimento della Banca Popolare, e del presunto “modello territoriale” di allocazione del credito, non è opera di una banda di ladri venuti da fuori che, di nascosto, ha sottratto capitali e pensioni a 100 mila famiglie e imprese. Il fallimento della “Popolare”, lo dice il nome stesso, è frutto di un sistema democratico che non funzionato a dovere.

E’ dunque il momento di guardarci allo specchio e di capire cosa può e deve cambiare nella nostra democrazia municipale, provinciale.

La prima causa del disastro è, a mio parere, la concretezza. Tratto caratteristico della nostra cultura, provinciale. Nostro vanto! Niente ricerca, niente centri studi, niente autonomia. Pura amministrazione di buon senso. Perché c’è sempre qualcun altro, ad altri livelli, che ha maggiori responsabilità delle nostre. Il provinciale, per definizione, fa la spola con Roma. Non è né indipendente, né federalista. Vive all’ombra di poteri superiori, accetta posti e ruoli di seconda fila, nomine dall’alto. Semmai, organizza la protesta del proprio territorio, contro tutti gli altri. Ma è la quintessenza del campanile. E quando esce allo scoperto, sui mercati della finanza o nei servizi pubblici locali, prende sonore legnate sui denti.

Crollo banche

 

 

 

 

 

 

 

La seconda causa del fallimento è la rendita di posizione. La classe dirigente provinciale gode di incredibili privilegi. Primo tra tutti l’impunità. Senza meriti, senza concorsi e senza elezioni, i capi delle istituzioni provinciali si ritrovano collocati in consigli di amministrazione di mille baracche del territorio. Per legge e senza controllo. E vivono di rendita. Senza rispondere delle proprie azioni, neppure di fronte ai giornali.

Questi difetti endemici sono la vera causa dei nostri mali. Ci danno una classe dirigente composta da persone “concrete”, che approfittano di rendite di posizione. Senza controlli, né esterni, né democratici, né procedurali. Persone che vivono all’interno di una cupola auto-referenziale, che sopravvive ai propri errori, addossando sempre la colpa a nemici esterni.

Questa classe dirigente può essere spazzata via da una riforma federalista della Regione, dal superamento definitivo dell’orizzonte provinciale, che soffoca i sogni di gloria dei nostri distretti e medie imprese. Una riforma ormai improrogabile, che non ha nulla a che vedere con la guerra con Roma. E’ un problema interno a Veneto Stato che, adeguatamente risolto, potrebbe riaprire la corsa verso il futuro.

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