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02 Agosto 2015 ~ 0 Comments

Riforme e occupazione

Quale rapporto esiste tra riforme strutturali e occupazione? Il tema è tornato di attualità in questi giorni, dopo la pubblicazione dei dati ISTAT sulla disoccupazione e il rapporto SVIMEZ sulla caduta dell’economia del Mezzogiorno. Nonostante gli oltre 100 miliardi di fondi strutturali europei spesi in quindici anni, l’impatto degli interventi di sostegno è stato disastroso e getta un’ombra inquietante sull’efficacia delle politiche comunitarie, in Italia come in Grecia.

Non possiamo aspettarci grandi risultati dalla ripresina del PIL, che pure sta arrivando, così come da futuri interventi sulle tasse. La crescita dell’occupazione e il distacco definitivo della zavorra Sud non avverranno fino a quando il nostro sistema istituzionale non sarà profondamente riformato.

La vecchia organizzazione provinciale è finita. Non è più in grado di sostenere lo sviluppo. Un tempo erano le decisioni infrastrutturali assunte a livello di capoluoghi, in termini di fiere, scuole superiori e autostrade, a garantire un contesto adeguato alle nostre imprese. Oggi non è più così.

Province 1815

 

 

 

 

 

 

 

Abbiamo smontato l’IRI e ridotto ai minimi termini le autorità d’ambito. Abbiamo moltiplicato all’infinito le partecipazioni locali, ma non abbiamo un sistema istituzionale in grado di decidere provvedimenti per l’industria. In questo contesto, ogni speranza che fattori macro-economici esogeni intervengano a dare ossigeno alla nostra economia, rischia di essere una pericolosa illusione.

C’è un rapporto strettissimo tra riforme strutturali e crescita del PIL, tra assetto istituzionale e crescita dei posti di lavoro. Il Jobs Act, senza istituzioni dello sviluppo, è un puro atto di fede nel mercato. E con gli atti di fede, nonostante l’ottimismo della comunicazione e le lodevoli intenzioni del presidente del Consiglio e dei suoi sostenitori, non si va molto lontano.

Che fare dunque per spingere davvero gli investimenti e dare coraggio alle migliaia di nuovi imprenditori che si apprestano ad aprire bottega, anche contro ogni ragionevole calcolo?

Bisogna andare avanti con le riforme amministrative, completando in quattro o cinque anni il processo di aggregazione e modernizzazione degli enti locali che è appena cominciato. Su questo fronte il governo deve avanzare proposte più radicali, in accordo con le regioni. Deve superare le resistenze degli establishment provinciali. Togliere ogni illusione che il grosso dei tagli sia già stato fatto e si possa tornare a crescere come prima.

 

Pubblicato su Il Giornale di Vicenza del 2 agosto 2015 (© Il Giornale di Vicenza)

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