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13 Marzo 2015 ~ 0 Comments

Una scuola senza analfabeti (industriali)

Ogni volta che si annuncia una riforma della scuola, le famiglie e le imprese del Nordest tremano. Dagli anni ’80 in poi gli interventi legislativi hanno reso sempre più dispersivo il percorso di apprendimento e spostato il cuore del sistema educativo lontano dalla cultura scientifica e del saper fare industriale.

Non esprimo giudizi di valore. Le nostre scuole continuano a essere nella fascia alta della classifica europea. Istituti tecnici e centri di formazione professionale continuano a sfornare giovani preparati che possono scegliere, più che in passato, percorsi alternativi. Alcuni entrano nel sistema produttivo presto, dopo il diploma, e continuano l’esperienza educativa on the job. Altri proseguono gli studi universitari, partecipano a tirocini all’estero e a corsi di specializzazione. Non sempre restano in Italia, ma, quando entrano sul mercato del lavoro, portano idee e competenze che cambiano l’industria.

Cosa non va, dunque, delle riforme passate e cosa non vogliamo dalla riforma entrante?

Non va il progressivo allontanamento tra esperienza pratica e formazione teorica. Un allontanamento che deriva dalla separazione netta tra le carriere scolastiche e le esperienze di formazione e ricerca nel mondo del lavoro. In passato, proprio l’interazione stretta tra insegnanti e produttori è stata il pilastro della nostra cultura e della nostra identità regionale.

Una volta i docenti degli istituti tecnici venivano da un’esperienza aziendale, spesso mantenevano rapporti di collaborazione e di lavoro con alcune imprese del territorio. Erano un ponte vivente tra pratica ordinaria del sistema industriale e riflessione tecnico-scientifica nelle aule e nei laboratori delle scuole. In Germania e nei paesi nordici, queste figure sono ancora oggi l’architrave degli istituti politecnici.

ITIS

 

 

 

 

 

Da noi queste figure miste stanno scomparendo, proprio a causa delle riforme che si sono succedute. E allora è sempre più difficile trovare docenti capaci di analizzare un processo tecnico o un percorso di lavoro operativo. La strumentazione dei laboratori si va deteriorando, non solo perché mancano le risorse finanziarie, ma proprio perché non c’è più uno scambio quotidiano con i tecnici e i ricercatori delle imprese.

Questa tendenza produce un analfabetismo industriale che ci allontana non solo dai livelli di produttività di cui il nostro territorio ha bisogno, ma dalla possibilità stessa di fare innovazione.

O la prossima riforma affronta di petto questo problema urgente o ridurrà ancora il nostro potenziale di sviluppo, come le precedenti.

 

Pubblicato su Il Giornale di Vicenza del 13 Marzo 2015 (© Il Giornale di Vicenza)

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