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27 Settembre 2014 ~ 0 Comments

Nordest: gigante economico e nano politico

Gigante economico e nano politico. Quante volte abbiamo sentito ripetere questa litania a proposito del Nordest? Il Nordest miracolo competitivo, nell’Italia immobile, fatto di imprese, distretti e società locali. Incapaci però di andare oltre le promesse e la protesta. Incapaci di assicurare al paese e all’Europa una leadership e un modello di sviluppo, di stato e di convivenza sociale convincenti.

Il Nordest chiuso in sé stesso, attorno ai propri segreti, che fa dell’autonomia e dell’identità locale uno strumento di separazione.

L’esito referendario della Scozia dovrebbe far riflettere su cosa accade quando non si elabora una proposta interessante anche per gli altri. Una classe dirigente chiusa in casa, in difesa della propria diversità, alla fine, non riesce a convincere la metà della propria popolazione.

Questo vale per il Veneto autonomista, che ha definitivamente rinunciato a governare l’Italia. Ma anche per il Trentino, che ha definitivamente rinunciato a dialogare con il Veneto e il Friuli. Che non vuole esercitare la propria influenza sul mondo esterno, chiuso com’è in un sempre meno luccicante isolamento asburgico.

Palazzo Balbi

Palazzo Provincia Trento

 

 

 

 

 

 

Come possono le regioni del Nordest risultare utili al mondo, contare, se non hanno l’ambizione di trasmettere un messaggio forte agli altri, se non hanno coscienza dei propri mezzi e dei propri successi?

Il Nordest suscita ancora grandi aspettative. Perché il modello dei distretti e della società inclusiva è straordinariamente interessante. Dove altro si trova un mix di condizioni economiche e sociali così accattivanti, anti-crisi, come nell’area metropolitana diffusa? Apertura alle regole del mercato internazionale e comunità locali basate su regole non scritte, meritocratiche. Sviluppo economico resiliente, con ridotte differenze tra imprenditori, tecnici e semplici operai. Grande coesione sociale.

Il Nordest ha fatto riflettere Bill Clinton e Lula da Silva, i keiretsu giapponesi e i cluster industriali del Baden Wurttemberg. Ha rappresentato una speranza per le regioni del Mezzogiorno italiano, perché prometteva una via d’uscita dalla servitù di Roma. Oggi delude perché non riesce a raccontare e rinnovare il modello, in linea con le nuove esigenze del mondo e dell’Europa.

La responsabilità di questo esito è di tutta la classe dirigente. La generazione MOSE, tollerata fin troppo dai leader della Lega e dalle categorie economiche, ma anche la cumbre intellettuale, dominante nel sistema universitario e nella sinistra regionale.

Invece di aggiungere valore alla mobilitazione spontanea degli imprenditori e dei cittadini, invece di inventare una storia nuova e una proposta accattivante per tutti, la classe dirigente del Nordest si è chiusa in difesa dell’anomalia regionale e di una simmetrica ed altrettanto provinciale esterofilia.

A questo punto non può che raccogliere i frutti della propria insufficienza. Contare sempre meno.

 

Pubblicato su Il Gazzettino del 23 Settembre 2014 (© Il Gazzettino)

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