E’ il momento di rompere (in modo selettivo) il patto di stabilità
Il cane da guardia della politica economica tedesca fa la voce grossa in questi giorni. Jens Weidmann, vice-presidente della Banca Centrale Europea, non vuole sentir parlare di svalutazione dell’Euro e di ripresa guidata dal deficit pubblico.
La sua posizione è chiara. L’Europa deve competere sui mercati internazionali, producendo tecnologie avanzate, in un sistema industriale e amministrativo efficiente. Più esportazioni verso i paesi extra-UE, investimenti in ricerca e sviluppo, salari alti per un personale sempre più istruito e qualificato.
Come non condividere questa filosofia?
A leggere le dichiarazioni di tutti i leader politici d’Europa, e anche degli economisti più autorevoli, sono tutti d’accordo. In teoria. In pratica molti vorrebbero un’altra soluzione.
Svalutare l’Euro, dare respiro ai settori meno tecnologici e sensibili ai prezzi internazionali, e programmare una ripresa basata su un più esteso flusso di esportazioni, che coinvolga i settori più esposti alla competizione dei BRIC. Qualche punto di inflazione in più non può far male. Anzi.
In Italia sono in molti a pensare che la nostra industria non sia capace di tenere il ritmo tedesco, non solo perché non disponiamo di scuole e istituzioni adeguate (che nessuna riforma sembra capace di rendere efficienti), ma anche perché siamo storicamente destinati a lavorare su prodotti industriali e servizi turistici a basso prezzo. Modello Venezia, per intenderci.
Ecco allora la richiesta, mai dichiarata ufficialmente, di una “deroga”. Il modello di riferimento resta quello tedesco. Ma, per ragioni di opportunità e di emergenza, nel breve termine, è meglio passare attraverso il percorso classico della svalutazione. Il livello raggiunto dal debito italiano non lascia alternative.
Ecco perché Renzi alza i toni e discute con Draghi e con il suo vice-presidente tedesco alla ricerca di una nuova strada.
Il problema è che continua a mancare una proposta politica coerente. Uno schema di gioco diverso dal passato, per l’Europa, che non rappresenti solo le paure e la coda di paglia dei territori e delle industrie in difficoltà. Perché, ad esempio, non proporre la rottura del patto di stabilità nazionale? Sarebbe un passo avanti, per l’Italia e per l’Europa, ragionare di bilanci regionali o di deroghe selettive sul capitale umano o su innovazioni che avvantaggiano i settori maturi e i territori meno collegati al modello dell’industria tecnologica di punta.
Ci vuole però coraggio, visione, e una proposta dirompente che ancora non arriva.
Pubblicato su Il Giornale di Vicenza del 15 Agosto 2014 (© Il Giornale di Vicenza)