Home » Green Mountain » Unioni Montane e sviluppo delle Comunità

28 Marzo 2014 ~ 1 Comment

Unioni Montane e sviluppo delle Comunità

 

Il contesto italiano ed europeo

Negli ultimi anni è diventato sempre più difficile amministrare gli enti locali. Alla crisi della finanza pubblica si è sovrapposta una crisi di produttività del sistema Italia, che ha indotto gli ultimi governi ad avviare processi di revisione straordinaria della spesa.

Nei territori di montagna questo significa:

–       riduzione dei fondi diretti alle Comunità Montane, enti locali costituzionali nati con l’obiettivo di “compensare” gli svantaggi indotti dal modello di sviluppo manifatturiero;

–       aggregazione dei piccoli comuni, con l’obiettivo di ottimizzare i costi dei servizi per i cittadini;

–       patto di stabilità e contenimento degli investimenti, a scapito della manutenzione del territorio e dell’ammodernamento delle infrastrutture.

Questi effetti stanno producendo una drastica revisione dei modelli amministrativi. I sindaci e gli amministratori locali, per sopravvivere, devono ripensare il proprio ruolo. Non sono più l’ultimo anello di una catena di comando che ha un saldo riferimento a Roma o Bruxelles, ma devono attrezzarsi per immaginare il proprio futuro, in modo autonomo, attraverso la valorizzazione delle risorse naturali, umane ed economiche di cui dispongono sul territorio. In un contesto nel quale la spesa si contrae, rivendicare maggiori risorse per gli enti locali non dà risultati. C’è un deficit di politiche per lo sviluppo che non può essere colmato con l’attesa di indicazioni dal centro. Molte conoscenze sono distribuite nei territori e non filtrano, attraverso il sistema statistico, ai ministeri e alle agenzie nazionali ed europee di sviluppo. Dunque, una politica per il rilancio delle aree montane passa necessariamente per l’auto-organizzazione, la re-invenzione degli enti locali.

L’Unione Europea, che pure sta pensando ad un intervento specifico sulla montagna nel periodo 2014-2020, non è in grado di distribuire fattori di sviluppo “standard”. Si orienta verso politiche “place based” (articolate in modo specifico, a secondo dell’identità e delle caratteristiche di ogni territorio). Pensa a investimenti sulle infrastrutture di base, ma non pianifica interventi nelle aree svantaggiate, senza il contributo attivo degli agenti locali. “Deve” confidare nella capacità dei territori di definire progetti propri e ipotesi di sviluppo che da Bruxelles non sono visibili.

Per tutte queste ragioni cresce, tra i sindaci e gli amministratori, la domanda di nuovi strumenti di analisi e di azione. Se è necessario cambiare ruolo, diventare agenti di sviluppo locale, imprenditori del territorio, più che semplici distributori di risorse, secondo norme e direttive definite da altri, bisogna tornare a studiare. E’ urgente acquisire conoscenze e linee guida che aiutino ad affrontare le nuove responsabilità, complesse e inedite, che la fase politica ed economica impone.

In questo contesto nasce il progetto “Green Communities”, promosso da UNCEM (Unione dei Comuni e delle Comunità Montane), con il contributo del MATTM (Ministero dell’Ambiente).

 

La sfida dei territori nella “green economy”

Nel “Manifesto per la Montagna” UNCEM aveva già affrontato il tema dei territori nella “green economy” nel 2009. L’impennata dei prezzi delle materie prime del 2008 certificava in quel momento storico la fine del modello di sviluppo “dissipativo” della manifattura concentrata in ambito urbano. E il grande “reset” (fermata e ripensamento generale) del 2009 indicava che la strada grandi poli metropolitani (che consumano energia e danno vita a innovazioni che distruggono il pianeta) non è più quella maestra e che è indispensabile ripensare al rapporto tra città e campagna (montagna), tra mondo artificiale e mondo naturale, tra risorse rinnovabili e risorse che possono finire.

Il pendolo della storia torna ad indicare nelle aree interne, purché bene strutturate dal punto di vista delle infrastrutture “moderne” di comunicazione, un ambiente favorevole allo sviluppo sostenibile. Vivere in campagna o in montagna può tornare ad essere economicamente e socialmente conveniente, all’interno di un modello economico “green”.

C’è ovviamente ancora molto bisogno di modernità e di integrazione. Ma la modernità e l’integrazione passano oggi attraverso “tecnologie” (ICT) e “innovazioni sociali” diverse da quelle su cui abbiamo investito per 200 anni: strutture urbane e dalle grandi organizzazioni industriali. Esistono tecnologie di rete che consentono integrazione e modernità anche in sistemi umani collocati fuori da contesti urbani.

Come può il “Manifesto per la Montagna” essere tradotto in strategie e strumenti di azione concreta?

La “green economy”, intesa come un nuovo modo di comunicare, di vivere e di produrre (e non solo un nuovo settore dell’industria energetica) sarà anche “teoricamente” un contesto più favorevole alla montagna, ma è anche vero che i territori delle aree interne continuano a registrare un decremento della popolazione e degli investimenti produttivi.

La ricerca e la sperimentazione realizzata da UNCEM e MATTM all’interno di alcuni territori del Mezzogiorno offre alcune parziali risposte a questo drammatico interrogativo. Il progetto Green Communities ha infatti intercettato progetti di sviluppo in quattro aree naturalistiche (Alto Tammaro e Titerno, Cilento, Pollino e Madonie) e verificato l’applicabilità di nuovi strumenti di gestione dell’efficienza energetica e della produzione di energia su piccola scala, in linea con le aspettative del “Manifesto” del 2009.

Dal progetto sono emersi elementi confortanti non solo a proposito dei percorsi di sviluppo possibile, ma anche soprattutto delle “regole” che possono guidare la pubblica amministrazione decentrata a ottenere risparmi in campo energetico e ambientale, che possono diventare leva di maggiore crescita.

Nelle pagine che seguono i risultati del progetto sono presentati in modo che possano diventare un riferimento utile per altre amministrazioni locali del paese (del Nord e del Sud) e non solamente appartenenti alle aree interne e marginali. Il lavoro svolto ha infatti dimostrato che la specificità delle aree interne non consiste solo nella presenza di fattori di vantaggio in alcune attività, ma anche nel fatto che tali fattori anticipano tendenze importanti per gli ambienti urbani del paese.

 

Traiettorie di sviluppo (nuovi business) sostenibili

Il progetto UNCEM-MATTM ha dedicato attenzione innanzitutto al problema di quali siano nuovi business che trovano in montagna un ambiente ideale (home base) per svilupparsi. I business “montani” emergenti non sono molti, ma alcuni di questi sembrano essere promettenti, proprio perché sollecitano adattamenti che dalla montagna si trasferiscono in pianura.

–         Turismo sostenibile, inteso come rete di strutture moderne di ospitalità, in linea con nuovi flussi di domanda globale (slow). Per riuscire a collegare l’Italia a questo tipo di domanda è necessario affrontare problemi strutturali. Ad esempio bisogna riqualificare il paesaggio. I vecchi borghi sono spesso circondati da strutture moderne che deturpano la visuale e i boschi non sono coltivati in modo armonico. Bisogna ristrutturare gli edifici. Nella maggior parte dei casi sono di bassa qualità, soprattutto dal punto di vista dei sistemi di riscaldamento e climatizzazione. Bisogna cambiare gli standard di relazione con la clientela: carte di credito, trasporti e comunicazione (logistica integrata e banda larga, non nuove strade o ferrovie). Bisogna imparare a “mettere in scena” esperienze memorabili (abbandonando il modello delle “maison da matrimoni”, con menù a prezzo bloccato o del B&B soltanto “familiare”). Ci sono i margini per una crescita dei prezzi che possono essere utilizzati (soprattutto nell’ospitalità) per gli investimenti. L’agente chiave di questa trasformazione è una coalizione di rappresentanti locali di associazioni come “Slow Food” e simili, nuovi operatori culturali e dell’ospitalità, tour operator specializzati. Nell’edilizia esistono margini notevoli per una maggiore efficienza. In questo caso il ruolo chiave spetta alle amministrazioni locali, che devono pianificare il paesaggio, ricostruire le identità, di valore, perdute (verso “green communities” e non più singoli comuni isolati) e dialogare con privati residenti e investitori esterni.

–         Nuove forme di coltivazione del bosco e dei terreni agricoli (mezzadria moderna). La gestione del patrimonio forestale è stata indirizzata finora alla coltivazione da latifondo. Questo tipo di organizzazione non rende nulla. Esiste invece una domanda di paesaggio, legno per l’arredamento, raccolta di biomasse legnose per l’energia, che può essere soddisfatta grazie a nuove forme di organizzazione della filiera boschiva e agricola (a mezzadria, tra pubblico e privato). La domanda di colture agricole autoctone, dieta personalizzata e anche nuove forme di trasformazione alimentare è molto forte. Non mancano le competenze. Tuttavia, bisogna aumentare la produttività del lavoro. Il consumo sul posto e nuove forme di commercializzazione diretta richiedono una drastica revisione del sistema di comunicazione e marketing. L’idea di introdurre nuove forme di “social network” e comunicazione, può servire per l’investimento. La coalizione vincente in questo ambito è rappresentata da nuove associazioni ambientaliste (post-creazioniste, meno conservatrici) e dell’agricoltura (presidi bio), ma anche nuovi organizzatori del mercato peer-to-peer e della comunicazione web.

–         Mestieri moderni collegati all’identità montana. L’ambiente montano è sempre più riconosciuto come uno spazio “moderno”, alternativo e complementare a quello metropolitano. Le aree interne sono sempre più individuate come possibile “home base” per attività post-industriali ad elevato valore aggiunto: “rural design”, produzione multimediale, organizzazione di attività sportive e out-door, produzione culturale e di eventi, training, progettazione istituzionale… In questi ambiti del terziario avanzato le possibilità di sviluppo dipendono dalla “migrazione” di risorse e capitali metropolitani in montagna, a beneficio delle competenze locali qualificate (fino a ieri costrette a migrare verso l’esterno). La coalizione vincente è costituita dai gestori di strutture globali della cultura e dell’innovazione, che “adottano” territori montani e investono sulle risorse autoctone, sulla cooperazione tra giovani (in modo analogo a quanto ha fatto la Guggenheim Foundation, in alcune aggregazioni urbane).

–         Energia da fonti rinnovabili. Fino ad ora l’installazione nelle aree interne di grandi centrali per la fornitura della rete nazionale non ha prodotto risultati interessanti sul territorio, né economici, né occupazionali. Un drastico spostamento verso sistemi di produzione energetica distribuita può offrire, invece, un contributo solido allo sviluppo di competenze energetiche di valore. In questo ambito la coalizione vincente è composta di esperti nella produzione di piccola scala (pochi kw) e system integrator che sviluppano soluzioni locali per un mercato globale, in contatto, ad esempio, con potenziali partner di altri territori “urbani”.

Il progetto ha considerato le condizioni di contesto che possono favorire il decollo di questi business e, in particolare, la capacità dei governi locali di investire su beni collettivi per la competitività. Al Sud come al Nord si conferma quanto affermato da Carlo Trigilia in un recente saggio (Non c’è Nord senza Sud, edito da Il Mulino): il ceto politico-amministrativo è spesso un ostacolo alla formazione di “coalizioni produttive” più che una risorsa. I flussi di spesa pubblica intercettati dalla politica “montana”, creano spesso “dipendenza” dalla finanza europea, nazionale e regionale (come soluzione più conveniente rispetto ad altri investimenti a rischio, su mercati “veri” in crescita), scoraggiano l’imprenditoria giovanile, incoraggiano l’emigrazione. La possibilità di mobilitare risorse “produttive” sui business sopra citati richiede una profonda revisione del ruolo e della cultura degli amministratori locali. Dalle regioni alpine che hanno saputo cogliere le opportunità dello sviluppo moderno, così come da alcuni territori degli Appennini, è necessario che emerga un ceto politico lungimirante, in grado di immaginare e costituire istituzioni all’altezza delle esigenze poste dai nuovi business emergenti.

 

Il Protocollo Green Mountain

Il progetto ha definito i principi di una “conduzione sostenibile” delle amministrazioni esistenti. Come gli altri contributi di questa rivista mostrano in dettaglio, tale conduzione può essere affinata grazie ad un insieme di linee guida (qui convenzionalmente definito Protocollo GM – Green Mountain, per l’assonanza che esiste con il sistema di valutazione proposto da LEED e dal Green Building Council Italia), condivise dai diversi amministratori di montagna (e non solo), grazie ad una collaborazione dal basso, piuttosto che di indicazioni provenienti dall’alto.

Il Protocollo GM offre un “pacchetto” di riferimenti utili a valutare l’impatto degli investimenti sul risparmio energetico, la produzione distribuita di energia da fonti rinnovabili locali e la valorizzazione delle risorse ambientali, lungo 12 diversi assi rilevanti per il territorio e la sua sostenibilità (v. schede allegate). Offre indicazioni su come costruire il contesto favorevole di cui sopra abbiamo parlato.

Il Protocollo è in via di perfezionamento. Ma potrebbe essere presto amministrato da una associazione nazionale indipendente di professionisti, imprese e amministrazioni. C’è bisogno di un soggetto autorevole e collettivo, capace di produrre strumenti concreti (imprenditoriali e amministrativi) per lo sviluppo sostenibile, oltre che di amministrare criteri condivisi di valutazione dei risultati.

Nel corso del 2012, su impulso dei UNCEM e MATTM sono già stati prodotti un tool kit per la valorizzazione delle risorse forestali, un altro per la costruzione di eventuali PAES o “modelli energetici” del territorio, un altro per le modalità di intervento sull’efficienza energetica degli edifici, un altro ancora per le modalità di analisi e rappresentazione dell’identità economica del territorio.

Nel corso del 2013 questi strumenti dovrebbero essere disponibili agli enti locali interessati, assieme ad un “sistema di rating” delle politiche di investimento, riconosciuto da investitori esterni (istituzioni pubbliche nazionali ed europee, venture philantropy, banche, fondi di investimento, ecc…). Sono già oggi numerosi i territori che si candidano a sperimentare il “sistema di rating” e ad investire sulle conoscenze e le linee guida sviluppate finora da UNCEM e MATTM, oltre che sul sistema di relazioni professionali che si è costituito dal basso.

Tool kit e linee guida non sono sufficienti e sarà necessario perfezionare strumenti di assistenza tecnica per l’implementazione di politiche di sviluppo locale e amministrazione sostenibile. Una nuova politica di sviluppo per le aree interne comporta infatti la mobilitazione “dal basso” di competenze tecniche sempre più elevate (non sempre presenti all’interno degli enti locali, dei parchi e delle stesse agenzie di sviluppo) e di modelli di governance del territorio che siano realmente “produttivi”.

Nelle due schede allegate a questa introduzione sono citati alcuni dei principi che ispirano il sistema di rating e le linee guida. E nei contributi successivi sarà possibile leggere i dettagli delle scelte suggerite, da un primo gruppo di esperti, per ciascun “asse di investimento” considerato dal Protocollo GM.

Prima della lettura è forse utile richiamare in questa introduzione un’avvertenza: ogni sistema di rating è per sua natura parziale e fallibile. E’ utile come strumento di “comunicazione” interno ad una comunità di persone o di professionisti fortemente coesa, che condivide principi e conoscenze. Non a caso i collaboratori di questo numero della Gazzetta condividono l’idea di far parte essi stessi di un’associazione per lo standard dello sviluppo sostenibile in montagna, che riunisca i cittadini e non solo i sindaci e i dirigenti dell’amministrazione periferica.

Un’associazione di cittadini e operatori che vivono in montagna, e sono convinti che la qualità del lavoro, delle imprese e delle istituzioni montane abbia un valore equivalente a quello del lavoro, delle imprese e delle istituzioni metropolitane, può amministrare un rating efficace. E può dar vita ad una “community” italiana moderna e attiva sullo scenario globale.

Ma solo una società civile attiva e “imprenditoriale” può investire sugli asset della modernità in montagna e accettare senza timori i risultati di un sistema condiviso di valutazione dei risultati. Una società di persone e istituzioni che evolve attorno ad una famiglia di artefatti innovativi: nuovi prodotti, nuovi business, nuovi tecnologie e metodi di gestione dell’ambiente, nuove istituzioni. Il resto è declino e tradizione orientata al passato, alla sussistenza e all’assistenza esterna.

 

Oltre il sistema istituzionale esistente

Il risultato forse più importante dell’esperienza realizzata nel 2012 è la consapevolezza che il futuro delle aree interne dipende in misura sempre più elevata dalla capacità delle società locali di immaginare “istituzioni di progetto” adeguate alla sfida della “green economy” e della nuova collocazione dell’Italia nell’economia globale.

Lo sviluppo della montagna non può essere promosso dalle stesse istituzioni concepite per governare il latifondo agricolo o per sostenere il “modello manifatturiero”, nella prospettiva di un “sentiero unico di sviluppo”. Tali istituzioni hanno fatto il loro tempo e hanno prodotto finora risultati limitati o illusori, come l’innesto di frammenti di “grande fabbrica” o “residenza verticale” in territori periferici. I casi di Termini, Melfi e di Marghera, ma anche i casi del Sestriere e di Cervinia testimoniano l’inadeguatezza di questi innesti.

La nuova economia delle aree interne richiede la capacità di immaginare e costruire istituzioni che investano sulla coerenza del paesaggio, sui sistemi di accessibilità, sui rapporti di integrazione con le aree urbane, sulle economie esterne per nuovi business. Simili istituzioni sono diverse dai piccoli comuni, arroccati in difesa della propria identità “particolare” e delle tradizioni desuete, dalle province o dalle agenzie di sviluppo intese come enti distributivi del “modello unico” della città industriale del ‘900. Sono comunità di valle, sistemi produttivi locali, distretti turistici e agro-alimentari di nuova concezione.

Spetta alle singole società locali definire i confini e le caratteristiche dei “nuovi territori”, in ragione delle attività produttive che si vogliono sviluppare e delle istituzioni che le devono guidare. In molti casi ha più importanza un comprensorio sciistico o un consorzio che gestisce impianti di risalita di una comunità montana con funzioni meramente distributive oppure un GAL piuttosto che un’amministrazione provinciale o un’agenzia regionale per l’agricoltura e le risorse forestali.

Con coraggio e fuori da schemi pre-costituiti bisogno progettare nuove istituzioni. Sapendo che non ci sono modelli già pronti da imitare. L’Italia delle aree interne ha un posto “unico” nel mondo e deve conquistarlo attraverso l’invenzione di una strada originale. Non può aspettarsi indicazioni “standard” dal sistema nazionale o europeo, normative e bandi di partecipazione. Non può attardarsi ad aspettare una modernità di seconda mano.

 

APPENDICE

Green Mountain 1.0 (linee guida) – Intenti provvisori su 12 assi di investimento

 

1/Bosco – Coltivazione del paesaggio boschivo e valorizzazione e non mera conservazione passiva delle risorse forestali.

2/Agricoltura/Natura Urbana – Aumento della quota di agricoltura “organica” e certificazione dell’agricoltura tradizionale. Coltivazione del paesaggio (campi, giardini/orti urbani). Valorizzazione delle risorse agricole e della natura urbana.

3/Acqua – Riduzione dei conflitti tra usi alternativi, efficienza degli impieghi e delle modalità di raccolta rispetto agli usi (e all’interesse generale alla riduzione degli sprechi), gestione ottimale della filiera di produzione (a livello di bacino)

4/Energia da FER – Aumento dell’autonomia energetica dei territori rurali e montani (negoziato con la città), con una riduzione dei costi di trasporto di energia. Spostamento del sistema locale verso le rinnovabili (20-20-20).

5/Turismo – Regolazione dei flussi in rapporto alla “capacità di carico” del territorio.

6/Edilizia – Aumento della componente sostenibile nel patrimonio edilizio e nella gestione delle reti urbane.

7/Efficienza Energetica (intelligenza della rete energetica e di comunicazione) – Riduzione dei consumi nelle reti e negli edifici, a parità di servizi energetici elettrici e termici richiesti. Potenziamento delle piccole “smart grid” locali.

8/Sviluppo attività economiche – Aumento della componente sostenibile delle attività produttive (certificazione e carico inquinante). Integrazione dei processi produttivi.

9/Mobilità – Riduzione dei tempi di percorrenza e dell’isolamento (accessibilità), razionalizzazione dei flussi logistici (persone e merci), aumento dell’intelligenza (ICT)

10/Rifiuti – Riduzione della produzione, selettività della raccolta, tracciatura dei processi e razionalizzazione logistica (km Zero), finalizzazione energetica (invece che discarica).

11/Welfare – Più servizi sociali per invertire i flussi di spopolamento. Modernizzare la qualità della vita. Logistica e nuovi servizi commerciali.

12/Innovazione – Coerenza degli assi rispetto all’identità produttiva del territorio. Regionalità. Robustezza dell’impianto istituzionale della GC.

 

Asiago 29 Marzo 2014

Incontro organizzato dal Gruppo Consigliare Regionale del Partito Democratico del Veneto

 

 

One Response to “Unioni Montane e sviluppo delle Comunità”

  1. Carlo Bernardi 14 Aprile 2014 at 11:42 Permalink

    Complimenti per l’analisi,di facile comprensione….speriamo che serva alle amministrazioni comunali dei piccoli comuni montani per aprire gli occhi…a presto.
    Carlo


Leave a Reply