Movimento dei forconi e riforma dello Stato italiano
Il movimento dei forconi non è molto diverso da alcuni fenomeni spontanei degli anni ’70. Gli scioperi a “gatto selvaggio” nelle grandi fabbriche del nord e i blocchi stradali di questi giorni hanno qualcosa in comune. Sono il sintomo di una crisi di sistema.
Negli anni ’70 la contestazione ha fatto saltare il sistema di produzione “fordista”: il modello della grande fabbrica. Non solo gli operai di linea, senza qualifica e senza identità. Ma anche i quadri tecnici e i capi, con un’identità professionale forte, hanno contestato il modello. Per tutti, sia pure in modi diversi, è diventata inaccettabile la rigida divisione sociale del lavoro e la gerarchia della grande impresa, inefficiente e spersonalizzante. E così il sistema è cambiato. Dal basso. A furor di popolo.
Un modello di produzione è finito e, nel corso del tempo, un nuovo modo di produzione è emerso: quello dei distretti e delle piccole imprese. I capi e i tecnici sono diventati imprenditori, hanno costruito rapporti di fiducia con giovani volonterosi e hanno trovato nelle istituzioni locali e nelle piccole banche un alleato. Il nuovo sistema, libero dal peso della gerarchia, ha permesso all’Italia uno straordinario incremento di produttività.
Poi la politica nazionale si riappropriata del gioco, da destra e da sinistra. In due tappe, nella Prima e nella Seconda Repubblica, ha compiuto il miracolo di ridurre la vitalità del modello emerso, caricando il sistema dei distretti e delle piccole imprese di un peso burocratico e fiscale tra i più spaventosi dell’Occidente.
Contro questa politica si scatena la protesta di oggi. E’ una protesta che unifica diversi strati sociali, commentatori politici, studiosi e strutture di rappresentanza. Nelle strade, ovviamente, si muovono soltanto piccoli gruppi difficilmente etichettabili, secondo uno stile che richiama, appunto, gli scioperi a “gatto selvaggio”. Imprevisti e imprevedibili, privi di una regia nazionale e razionale. Ma è evidente che questi gruppi hanno tanti maestri, piccoli e grandi, distribuiti nell’intero arco costituzionale.
Il punto è capire quale sarà la via d’uscita dalla crisi istituzionale in cui siamo immersi. Seguendo l’analogia con gli anni ’70, indipendentemente da ciò che succede in Parlamento o a Palazzo Chigi, è possibile che qualcuno assuma nelle istituzioni un ruolo analogo a quello dei capi che si sono messi in proprio negli anni ‘70, inventando un nuovo modello di industria.
Ad esempio sindaci potrebbero inventarsi un patto federativo. Non sappiamo come, ma dall’attuale sistema usciremo. A furor di popolo. E non è escluso che nasca un modello di Stato nuovo e più efficiente.
Pubblicato su Il Giornale di Vicenza del 12 Dicembre 2013 (© Il Giornale di Vicenza)