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31 Agosto 2013 ~ 0 Comments

Come attivare i processi di aggregazione territoriale nel Veneto

Superati gli scogli dell’IMU e dell’IVA il governo delle larghe intese, guidato da Letta, dovrebbe dirigersi più speditamente verso le riforme strutturali. In prima linea c’è il cambio della legge elettorale e, subito dopo, i nodi della spesa e della produttività della Pubblica Amministrazione. L’organizzazione dello Stato fa acqua da tutte le parti e non concorre più minimamente alla competitività dell’industria. Le larghe intese, sia pure claudicanti, dovranno affrontare il problema, introdurre cambiamenti radicali.

In questo contesto le regioni, e il Veneto in particolare, non possono stare ferme. Buona parte della spesa è ormai stabilmente decentrata a livello locale e deve essere ristrutturata. Tanto quanto quella centrale. In prima linea nei prossimi mesi c’è la riforma degli enti locali e delle risorse per lo sviluppo.

Cosa intende fare il Veneto, dopo la fine delle province? Come pensa di promuovere le aggregazioni dei comuni al di sotto del 5.000 abitanti?

A queste domande il sistema politico regionale e le associazioni di categoria provinciali devono trovare risposte convincenti. La ristrutturazione del territorio non è mera questione normativa o burocratica. Non serve tagliare la spesa e promuovere la formazione di organizzazioni più grandi, per avere automaticamente maggiore efficienza.

L’esito delle aggregazioni “gerarchiche” nella Sanità è sotto gli occhi di tutti. I nuovi grandi ospedali non sono organizzazioni più economiche e produttive dei vecchi presidi locali. Sono un’altra cosa. Offrono un servizio sanitario radicalmente diverso da quello passato e non hanno ridotto i costi.

Dunque le aggregazioni di comuni, e di altri servizi locali (come quelli associativi, di pubblica utilità, camerali e per l’innovazione), devono essere studiate con attenzione. Altrimenti non contribuiranno ad aumentare la produttività e la competitività del sistema economico regionale. La questione non è affatto semplice da risolvere. La Regione Veneto l’ha affrontata in varie occasioni, a livello sperimentale. Ai tempi dell’animazione economica dell’Assessore Bottin, quando Rasi Caldogno ha avviato la rete dei centri collegati a Veneto Innovazione, quando l’Assessore Finozzi ha lanciato la legge sui distretti produttivi.

I risultati di tutti questi tentativi sono assai deludenti. E anche le esperienze dei Patti Territoriali e delle IPA (Intese Programmatiche d’Area) non si può dire che abbiano prodotto risorse territoriali per lo sviluppo.

Adesso non si può più scherzare, poiché gli effetti di questi “esercizi di stile” si riverberano chiaramente nelle classifiche internazionali sulla competitività della nostra industria. Serve un salto di qualità definitivo.

L’impressione generale è che il problema non possa essere risolto senza una mobilitazione della società civile. Se la costruzione dell’area metropolitana di Venezia o le aggregazioni dei piccoli comuni di montagna resta materia demandata ai soli sindaci e ai burocrati regionali non si va da nessuna parte.

Nuovi territori produttivi possono nascere solo dal coinvolgimento “costituente” degli agenti sociali e delle loro rappresentanze.

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