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24 Marzo 2013 ~ 0 Comments

Fine del Nordest?

Fine settimana poco incoraggiante per il Nordest. In ben due convegni tra venerdì e sabato della scorsa settimana, intellettuali (locali e non) hanno intonato il de profundis per l’economia e la società della nostra regione.

Il Nordest che abbiamo conosciuto non esiste più” ha dichiarato il direttore della Fondazione Nordest, presentando l’ultimo rapporto della sua agenzia di ricerca, ad una serata del Guanxi Network di Valdagno. “Il capitalismo molecolare ha esaurito la sua spinta” gli fa eco il coordinatore del consorzio Aaster dal pulpito del CUOA.

D’accordo che siamo in crisi, ma da dove viene questa frettolosa urgenza di dare sepoltura al miracolo Nordest? Verrebbe da citare Mark Twain e il suo sagace commento all’annuncio prematuro della sua dipartita: “The reports of my death have been greatly exaggerated.”.

Il Nordest è diventato un simbolo positivo nel dibattito nazionale e internazionale degli anni ’90, perché è stato un modello di sviluppo capace di affermarsi “senza” l’aiuto dello Stato, grazie ad un gioco di squadra inedito, tra piccole unità produttive nei distretti e nelle filiere di manifattura. Il modello è ancora interessante, perché riesce a conciliare le piccole dimensioni con la forza commerciale, il capitalismo familiare con la solidarietà sociale. E’ un modello utile, perché ormai ne conosciamo i segreti, l’unicità, la vitalità, i difetti.

Cosa è cambiato negli ultimi tempi? Cosa fa pensare che la spinta propulsiva e il contributo di innovazione del nostro sistema imprenditoriale e sociale sia finito?

Il sistema del Nordest, nei momenti di crisi, ha sempre sofferto in modo più forte la caduta del fatturato e dell’occupazione. In questa crisi europea gravissima, non si comporta peggio degli altri. Non è rimasto indietro. Come ricorda Roberto Zuccato, può ancora conquistare posizioni nel mondo, trovando il bandolo di una nuova manifattura digitale o di una green economy tutte da inventare.

Zuccato

 

 

 

 

 

 

 

 

Il problema è un altro. Il nostro sistema è rimasto orfano di un ceto intellettuale e di una rappresentanza politica capaci di dare un contributo produttivo al cambiamento in corso.

I conciari di Arzignano si stanno rompendo la testa per capire come possono trasformare il ciclo produttivo da “discarica” in “miniera”. I costruttori trentini si ingegnano a studiare nuove tecniche di progettazione, per dare al mercato case che non consumano. Rosso e Donadon si spendono su nuovi imprenditori digitali. Ma dove sono le istituzioni culturali e amministrative?

I cittadini comuni e gli imprenditori che ancora si riconoscono nel Nordest hanno bisogno di supporto operativo. Non di sermoni. Non basta cambiare nome al territorio per risolvere la crisi!

 

Pubblicato su Il Giornale di Vicenza del 19 Marzo 2013 (© Il Giornale di Vicenza)

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