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23 Giugno 2016 ~ 0 Comments

Mario Zoccatelli e la CISL della Partecipazione

MDA

Il contesto

A metà degli anni ’80 la CISL decide di impegnare l’organizzazione in un radicale cambio di prospettiva, rispetto alle consuetudini e agli strumenti del sindacato di “classe”. Un cambio di prospettiva, che è coerente con le sue origini (Romani) e con la situazione difficile dell’Italia pre-default.

Tra il 1985 e il 1992 il paese è trascinato nel gruppo dei G8 dall’efficienza dei distretti produttivi e dalla società emergente nella Terza Italia, alternativa all’industria fordista e statalista, che le Partecipazioni Statali e la borghesia milanese e torinese, hanno portato al default “politico” degli anni ’70. Soffre però due problemi importanti:

  • non riesce ad agganciare il gruppo di testa delle economie occidentali (Germania in primo luogo) sul lato della produttività;
  • non riesce a superare i conflitti (tipo scala mobile) e le tensioni protezioniste nei settori delle grandi imprese “strategiche”.

Nella CISL del Veneto è presente un nucleo di competenze, formato alla scuola dell’industria emergente. A Vicenza c’è un Ufficio Studi nato su iniziativa di Bruno Oboe e Ilvo Diamanti e, a Verona-Venezia, la Fondazione Corazzin nata su iniziativa di Gigi Viviani e Maurizio Carbognin. Ne fanno parte Mario Zoccatelli e Paolo Gurisatti che, dal punto di vista teorico, sono in contatto con la scuola di Modena, Sociologia di Trento (Attilio Masiero), alcuni ambienti dell’Università Cattolica di Milano (Tiziano Treu), il gruppo di RSO (Federico Butera e Beppe Della Rocca), Arnaldo Bagnasco e Carlo Trigilia a Torino. Conoscono i problemi del decentramento produttivo (FLM e sindacati grafici in particolare), delle imprese cooperative e della società di piccola impresa.

La CISL Nazionale, per volontà dei suoi massimi dirigenti (Pierre Carniti, Mario Colombo, Beppe Surrenti) decide di investire su questo nucleo di competenze, come motore di una nuova organizzazione sindacale, al servizio della “Partecipazione”.

La proposta

Al Centro Studi di Firenze, sotto la direzione di Angelo Simontacchi, si costituisce una task force di tecnici con idee innovative in tre ambiti

  • impresa (cooperazione-autoregolata)
  • sistema produttivo (distretto/rete)
  • politica industriale (politica per l’industria)

coerenti con la prospettiva di introdurre un patto sociale “reattivo” (partecipativo), per dominare i problemi dell’innovazione nell’industria e nelle relazioni sindacali del sistema paese.

 

Il gruppo è culturalmente compatto. Pensa all’impresa come a un luogo di investimento, sia degli imprenditori che dei lavoratori, recuperabile anche in Italia a logiche di produzione di valore e non più di mera estrazione di valore da parte di coalizioni contrapposte[1]. Pensa al sistema produttivo come a un “grappolo” di attività tecniche tra loro collegate (cluster) e non come a un sistema composto da settori “merceologici/statistici/contrattuali” separati. Ritiene inoltre che la politica sindacale debba essere orientata a intervenire, anche per via contrattuale, sui problemi di innovazione dei sistemi industriali e non limitarsi a richieste protezionistiche. Parafrasando il Franco Debenedetti di oggi, ritiene di dover avviare politiche per l’industria e non politiche industriali, intese come interventi diretti dello Stato nella gestione delle aziende[2].

La task force mette a punto un pacchetto di strumenti di formazione per quadri e dirigenti sindacali, capaci di intervenire in azienda e a livello di settore/sistema industriale con progetti di analisi, controllo e innovazione.

Oltre alla formazione, la CISL progetta forme permanenti di organizzazione delle conoscenze dei lavoratori (osservatori), al servizio degli “esperti” di contrattazione decentrata, utili a mobilitare conoscenze distribuite per la politica industriale. In termini moderni si potrebbe dire che pensa a un sistema distribuito di innovazione sociale.

Mario Zoccatelli è parte della task force (con competenze di tipo organizzativo, derivate dalle esperienze di innovazione nella grafica) e diventa presto animatore degli “esperti” formati a Firenze in alcune categorie e in un centro di servizi nazionale, trasversale ai diversi settori industriali e alle categorie: Sindnova. Cerca di dare senso “politico” all’intera operazione con documenti come Ladispoli ’90 (evocativo della svolta desiderata) e una serie di iniziative culturali sulle riviste della CISL, nei congressi e in altre occasioni collaterali.

 

L’accordo di luglio 1993

Con il default del ’92 e con l’avvio della concertazione nazionale, la proposta della CISL di Carniti e Colombo diventa minoritaria, nel sindacato e nel progetto di Seconda Repubblica.

Roma diventa la sede in cui decidere non solo le politiche macro-economiche, di convergenza del sistema paese verso il quadro europeo, ma anche la politica dei redditi, la politica della produttività, la politica industriale post-Partecipazioni Statali e Cassa del Mezzogiorno.

La contrattazione decentrata, e l’idea di promuovere un accordo tra “produttori” per rimettere in sesto il paese, esce di scena e il sistema organizzativo degli anni ’80 viene smantellato.

Le competenze mobilitate dalla CISL, a Sindnova e al Centro Studi, si disperdono nei territori.

 

La Seconda Repubblica

Il seguito della storia è noto a tutti. In mancanza di un patto sociale forte e di un serio investimento sulle competenze diffuse (una sorta di ordo-capitalismo italiano) la produttività generale dei fattori è diminuita, la politica industriale come intervento diretto della politica nelle scelte strategiche è continuata con altri mezzi (CDP), l’Italia ha smesso di convergere verso l’Europa.

Il sindacato si è ritirato in difesa dei pensionati e delle vecchie generazioni, rinunciando a proporre qualcosa di autonomo e indipendente alla società di cui è parte.

E possibile dire che la CISL ha perso una grande occasione e ha disperso un patrimonio di competenze importante? Certamente sì. E’ possibile dire che l’investimento fatto negli anni ’80 ha prodotto risultati utili in altri contesti (territori e associazioni di imprese)? Purtroppo no.

Perché la CISL degli anni ’80 era portatrice di un’idea di società, forte e autonoma dalla politica, che è andata dispersa per sempre.

 

Il ruolo di Mario Zoc

Mario Zoc ha svolto una funzione importante come innovatore, nei modelli organizzativi.

Ha condiviso la visione del Tavistock e del gruppo di RSO, ha investito sulla centralità della cooperazione-autoregolata, e promosso la visione di Michael Crozier sul ruolo degli attori sociali, anche marginali, nella governance dei sistemi produttivi e sociali complessi (Attore sociale e sistema).

Ha quindi tradotto tale visione in una serie di strumenti di animazione delle risorse presenti nelle aziende e nelle organizzazioni industriali (dalla Mondadori degli anni ’70, all’industria della carta negli anni ’80, alle imprese del settore alimentare negli anni ’90, fino all’industria dell’edilizia sostenibile nei primi anni 2000).

Mario Zoc è stato un grande animatore di competenze distribuite che, proprio grazie alla sua visione del mondo, ha saputo scoprire, organizzare e mobilitare. Paradossalmente, la sua insofferenza per le organizzazioni tecniche, economiche e politiche “tradizionali”, gli ha consentito di promuovere importanti progetti “partecipativi”.

Assieme a Mario Zoc generazioni di giovani ricercatori, esperti di analisi aziendale e di settore, hanno trovato il modo di “partecipare” a progetti di innovazione nella CISL, nell’industria e nel sistema paese.

Questo capitale sì che non è andato disperso, ma fatica a coagularsi oggi attorno a un soggetto sociale nazionale trainante.

 

(Contributo alla commemorazione di Mario Zoccatelli, organizzata dalla Fondazione Vera Nocentini, Torino)

[1] In ambito pubblico questo è necessario nelle imprese che sono teatro di accordi “scellerati” tra rappresentanze dei dipendenti e degli azionisti (partiti).

[2] Un esempio di questa impostazione è l’accordo di partecipazione in Alitalia.

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