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23 Luglio 2014 ~ 0 Comments

Il futuro delle Venezie: capannoni senza fine?

MDA

L’Istituto per le Ricerche di Storia Sociale e Religiosa di Vicenza ha recentemente promosso un convegno sul paesaggio delle Venezie (12 giugno 2014). L’aspetto interessante dell’iniziativa, è che i partecipanti hanno concentrato la loro attenzione sul paesaggio futuro e non su quello passato. Cosa potrà accadere nei prossimi anni all’interno di una delle regioni più dinamiche d’Europa, al centro del cosiddetto Arco Alpino? Possiamo immaginare che lo sviluppo industriale, che ha caratterizzato le Venezie per oltre quarant’anni possa continuare, influenzando ancora l’evoluzione del patrimonio urbano e rurale verso una distesa senza fine di capannoni?

Per quanto paradossale possa sembrare, porsi domande di questo tipo non è affatto in contrasto con il rigore analitico, proprio di un istituto di storia, e neppure con il metodo scientifico. Utilizzare il paradigma indiziario, proprio degli storici, per riflettere sulle trasformazioni in corso, recuperare le storie che guidano gli agenti economici e sociali, può essere utile non solo per immaginare traiettorie di sviluppo futuro, ma anche per costruire azioni di cambiamento condivise.

Il convegno ha prodotto risultati interessanti, che gli organizzatori pensano di condividere adesso con gli amministratori locali, che più di altri possono influire su tali azioni.

Il convegno ha messo in evidenza tre aspetti, che possono guidare il ragionamento dei sindaci e degli amministratori locali, nei loro progetti di pianificazione.

  1. La manifattura sta cambiando pelle: dopo le filande e i capannoni cerca nuovi spazi di aggregazione, consoni all’identità di produttori emergenti (makers e tecnologi di nuova generazione si trovano su Internet o nei nuovi FabLab, piuttosto che nelle vecchie aree industriali e artigianali).
  2. Fanno la loro comparsa nuovi sistemi di mercato e di consumo: turismo globale, servizi alle imprese e alle persone (un terzo settore sempre più ampio, che integra cambiamenti sociali importanti – invecchiamento della popolazione, riduzione del nucleo familiare – con i numerosi fallimenti dello stato sociale).
  3. Matura una nuova sensibilità ambientale: l’urbanistica si sgonfia, mentre acquistano rilevanza i temi energetici e l’attenzione per il patrimonio territoriale non riproducibile (boschi, prati e natura urbana).

Questi elementi, che si mescolano in modo problematico con la riduzione del surplus finanziario annuale, condizionano le decisioni degli operatori economici, delle famiglie, degli amministratori pubblici delle Venezie. Siamo nel pieno di una transizione che potrebbe durare alcuni decenni e il cui esito è ad oggi incerto.

 

1. Nuova manifattura

All’interno delle imprese e delle associazioni di categoria affiora la percezione che l’Italia sia chiamata a svolgere nuove funzioni nel mondo globalizzato post-Euro. Nello stesso momento in cui perdono quota le produzioni più esposte alla competizione di prezzo, gli operatori economici provano a introdurre tecnologie digitali come strumento di innovazione nel campo del design e della qualità artigianale delle produzioni su misura (sia pure del Made in Italy).

I dati presentati da Giancarlo Corò mostrano due tendenze importanti.

Nel lungo periodo appare sempre più chiaro che l’exploit delle Venezie, avvenuto nei decenni ’70 e ’80, è stato un’eccezione. Tassi di crescita medi del 2-3% a decennio sono una costante dall’inizio della rivoluzione industriale in tutta Europa e la crescita del 6-7% registrata dalle Venezie negli anni del decollo deve essere intesa come un evento eccezionale. Il nostro sistema ha trovato una finestra di condizioni particolarmente favorevoli in Europa, ma tale finestra si è chiusa nel momento in cui la globalizzazione ha spostato molte attività di fornitura verso est, anche all’interno del vecchio continente.

Nel breve periodo la perdita di posti di lavoro collegati alla manifattura “tradizionale” non è compensata dall’emergere di nuovi settori (nuova manifattura e terziario avanzato). Le start-up digitali (produttrici di nuove apps per il mercato mondiale ICT) restano una componente marginale del sistema, mentre altri fenomeni emergenti come quello dei “makers” (ipotesi avanzata da Stefano Micelli e dalla Fondazione Nordest) non sembrano in grado di sostituire i posti di lavoro perduti. Le Venezie affrontano problemi inediti. Sempre, in passato, hanno subito le crisi congiunturali in modo più accentuato del resto d’Italia, ma in questa fase sembrano attraversare problemi più strutturali.

La nuova manifattura, in crescita più nelle interpretazioni narrative dei leader industriali che nei dati statistici oggettivi[1], influenza la dinamica degli investimenti, apre una discontinuità evidente con la tradizione urbanistica e industriale del passato. Cala la domanda di “capannoni” isolati e di spazi dedicati alla logistica dei componenti. Cresce la domanda di spazi integrati con la città, utili alla co-progettazione, alla co-makership, al turismo industriale e ad altre attività nelle quali le relazioni sociali contano più dell’interazione con i prodotti fisici.

Complice un eccesso di offerta immobiliare, questi fenomeni spingono alla rigenerazione e ri-compattazione degli spazi industriali. Non è un caso che Renzo Rosso preferisca ristrutturare la ex-sede di Laverda Moto, piuttosto che ricorrere a nuovi capannoni tradizionali, o che Donadon riscopra i casali abbandonati a Roncade, piuttosto che trasferirsi nelle cubature già disponibili a Marghera (VE.GA).

Non si tratta di casi isolati, ma di fenomeni che derivano dall’identità emergente dei nuovi operatori manifatturieri. Il contenuto tecnico e produttivo delle nuove imprese tende a modificare gli spazi fisici del territorio, porta a progetti di restauro e ristrutturazione dei capannoni e delle infrastrutture di collegamento. Cambia il valore patrimoniale degli asset esistenti.

I comuni che si predispongono a pianificare il territorio si trovano di fronte a problemi inediti. Interi quartieri e aree industriali e artigianali rischiano di perdere valore, mentre mancano le risorse finanziarie per procedere a interventi di ristrutturazione e revisione urbanistica e paesaggistica del territorio. In questa prospettiva non solo è necessario pensare ad una interazione più stretta con gli operatori privati (non necessariamente italiani), ma è anche indispensabile investire su progetti di integrazione territoriale (unioni di comuni) che sfruttino l’identità produttiva emergente come fonte per l’attivazione/attrazione delle risorse.

 

2. Nuovi sistemi di mercato e di consumo

A fianco delle trasformazioni descritte all’interno della manifattura è possibile registrare altre tendenze importanti, che comportano una revisione degli spazi di vita e di lavoro delle periferie e delle aree residenziali. Stefano Munarin, Bruno Gabbiani, Gianluca Salvatori e Luciano Gallo hanno presentato casi esemplari di queste tendenze in Trentino, nell’area Veneziana, nel Veronese e nel cosiddetto Veneto Centrale.

La crescita del turismo globale e i flussi di visitatori in arrivo dai BRIC tendono a modificare la geografia dei luoghi destinati all’ospitalità e alla stessa residenza. In passato, i flussi turistici erano ispirati da una logica di prossimità. Seconde case, alloggi a pensione completa, alberghi con una forte impronta stagionale erano strutture adatte a soddisfare esigenze di tempo libero e spostamento di visitatori europei.

Oggi questo patrimonio si dimostra obsoleto in un contesto globalizzato nel quale i nuovi turisti sono sempre meno europei, affrontano spostamenti di migliaia di kilometri e confrontano tra loro servizi logistici e di ospitalità di tutto il mondo, imponendo standard di servizio sempre più alti. La qualità media dei nostri alberghi, soprattutto quelli allineati lungo la costa adriatica, è fuori scala rispetto alla domanda emergente e nonostante i diversi interventi realizzati nel corso del tempo, rischia di trovarsi fuori mercato, in modo analogo a quanto accade agli spazi commerciali e ai capannoni delle aree industriali.

Un fenomeno analogo riguarda le periferie. I condominii di grandi dimensioni, con appartamenti costruiti negli anni ’60 e ’70 a misura di nuclei familiari stabili e composti di molte persone, si dimostrano ogni giorno sempre più inadeguati alle caratteristiche della società in trasformazione.

Anche in questi specifici ambiti residenziali, temporaneamente occupati da flussi migratori provenienti dall’esterno delle Venezie, sono necessari pesanti interventi di ristrutturazione e mancano modelli ai quali ispirarsi (non tanto dal punto di vista architettonico, quanto dal punto di vista del “modello economico-finanziario-sociale-temporale” di trasformazione).

Esempi di ri-generazione delle periferie (quel pezzo di Italia sul quale Renzo Piano ritiene indispensabile intervenire) sono in atto in alcuni quartieri pilota (Piani Città). A Bologna e Padova, ad esempio sono stati realizzati interventi urbanistici finalizzati all’integrazione tra soggetti sociali nuovi: anziani che vivono da soli e hanno bisogno di assistenza e servizi di prossimità, giovani single in mobilità per lavoro, nuclei familiari ridotti e molto più mobili che in passato. Questi interventi hanno provato a recuperare l’esistente.

Ma la struttura della metropoli diffusa rende difficile la replica di soluzioni di questo tipo nelle Venezie. Ri-generare un quartiere di villette a schiera o bifamiliari isolate in centinaia di piccoli paesi è cosa diversa dall’intervenire in quartieri urbani molto concentrati. Dal punto di vista dei servizi, soprattutto, è indispensabile inventare modelli di mercato e di consumo originali, adeguati allo scopo, che non sono disponibili nei manuali di architettura o nell’esperienza delle città metropolitane che guidano lo sviluppo.

Su questi problemi gli amministratori locali delle Venezie sono chiamati a sviluppare idee e progetti di intervento inediti. Gli esempi portati dai relatori al convegno di Vicenza sono illuminanti a proposito delle difficoltà che si dovranno affrontare. I piani “urbanistici” e i modelli “architettonici” in linea con i problemi sociali emergenti hanno bisogno di flussi di investimento assi superiori a quelli passati.

 

3. Nuova sensibilità ambientale

Restaurare il territorio costruito, a bassi costi negli anni ’70 e ’80, comporta oggi costi elevatissimi. Rigenerare il paesaggio urbano lasciato libero dai vecchi capannoni, dai vecchi alberghi senza identità e dalle periferie senz’anima (e con costi energetici e ambientale troppo elevati) è, in qualche caso, praticamente impossibile.

Anche se la mobilitazione spontanea della società civile (famiglie con avanzi finanziari, imprese alla ricerca di nuovi spazi produttivi) fosse in grado di generare le competenze necessarie alla “grande ristrutturazione” di cui le Venezie hanno bisogno, non è detto che tale mobilitazione (banche e aziende finanziarie incluse) sia in grado di recuperare i flussi finanziari necessari al cambiamento.

In questo consiste la crisi delle Venezie: uno scarto eccessivo tra esigenze della società e le risorse disponibili. Le grandi risorse prodotte in passato (negli anni del boom, quando non avevamo debiti da pagare) sono state indirizzate in una sola direzione, verso un modello di crescita che si sta rivelando oggi troppo rapidamente obsoleto.

A queste tendenze economiche e sociali si sovrappone un cambiamento culturale che, dopo la crisi del 2008, è diventato pressante: una domanda di paesaggio e ambiente in linea con un’impronta ecologica limitata.

Nelle Venezie sembra essere maturata, quasi improvvisamente, una coscienza energetica e ambientale che negli anni del boom era quasi totalmente inesistente. Questo tipo di cambiamento porta a movimenti contrari all’industria e ai suoi simboli principali: strade e capannoni. Si moltiplicano i comitati e i movimenti locali che si oppongono non solo alle installazioni inquinanti e all’espansione urbanistica, ma anche alle attività produttive collegate alla vecchia industria.

La frammentazione del sistema politico in migliaia di liste civiche di villaggio/paese sta innescando una gigantesca sindrome “nimby” che rende complessa la pianificazione di opere indispensabili e la stessa riconfigurazione del sistema produttivo e paesaggistico.

La cultura “green” accelera i tempi di dismissione della manifattura che ancora oggi regge il sistema e spinge verso attività (agricole, agri-turistiche, di ripristino ambientale in pianura e soprattutto in montagna) che non sono in grado di generare, per metro quadro occupato, un reddito sufficiente.

La sensibilità ambientale è senza dubbio una risorsa delle Venezie (si pensi alle esperienze di agricoltura biologica e produzioni a km zero che si diffondono a macchia d’olio), ma deve essere canalizzata alla creazione di spazi produttivi e abitativi che si “integrano” con il paesaggio industriale esistente, rigenerandolo piano piano.

Se gli amministratori locali si limitano a cavalcare la sindrome “nimby” e a pensare alle Venezie “green” come ad una deviazione secca rispetto al passato, addirittura in contrapposizione con la storia industriale del territorio, i rischi di un futuro sfavorevole aumentano.

Un modello economico fatto di agriturismi “slow”, piste ciclabili e flussi turistici intercontinentali, non è in grado di promuovere strategie di sviluppo realistiche, in linea con la domanda di modernità, di innovazione, di spazi e servizi metropolitani che inequivocabilmente proviene dalle giovani generazioni (quelle con la valigia in mano e lo smartphone sul comodino).

Senza pensare all’impatto che la cultura della sostenibilità potrebbe produrre sul valore intrinseco del patrimonio immobiliare energivoro, qualora non si trovino in tempo affidabili modelli di ristrutturazione.

 

In conclusione il convegno di Vicenza ha messo in evidenza fenomeni complessi ed evocato scenari non necessariamente confortanti. Nella migliore delle ipotesi il cambiamento degli obiettivi sociali entra in contrasto con il ruolo “urbanistico” dei comuni e delle altre autorità di pianificazione. Lo sviluppo della nuova manifattura, se non adeguatamente sostenuto, può condurre a fenomeni di rapida obsolescenza del patrimonio commerciale e industriale disponibile.

Urge una riflessione normativa e istituzionale che porti gli amministratori locali ad un più elevato livello di consapevolezza e di interazione.

Comunque la si voglia chiamare (Venezie, Venice City Region, Pa.Tre.Ve e Vi.VRO) l’area metropolitana diffusa del Nordest ha bisogno di una politica territoriale nuova.

Tale politica non può che provenire dall’integrazione e dalla ristrutturazione del sistema delle amministrazioni locali. Nella consapevolezza che serve una policy regionale all’altezza delle sfide tremende che abbiamo di fronte e che la dimensione troppo piccola delle amministrazioni locali, mai come in questa fase rischia di essere l’intoppo principale allo sviluppo.

 

[1] Fortis continua a registrare la tenuta dei vecchi sistemi produttivi, delle industrie manifatturiere del Made in Italy, sia pure sempre più concentrate, aperte ai rapporti internazionali e indirizzate allo sviluppo tecnologico più che alle lavorazioni in conto terzi.

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